Intervento del Presidente della Repubblica di Cuba, Fidel Castro Ruz, alla Televisione Cubana, sull’attuale situazione internazionale, sulla crisi economica e mondiale e sulle loro conseguenze per Cuba. 2 novembre 2001
Cari compatrioti:
Quando inaugurai la Scuola dei Lavoratori Sociali di Santiago de Cuba, il 24 ottobre, dissi che nei prossimi giorni avrei parlato sulla situazione economica internazionale e di come questa potrebbe danneggiare il nostro paese che sta portando avanti un programma sociale senza precedenti, man mano che si recupera dal periodo speciale. Non ho voluto prolungare di più questo mio intervento.
Per caratterizzare la situazione attuale, possiamo affermare, in una sintesi molto breve, che a metà degli anni ’90, quando la globalizzazione neoliberale si estendeva su tutto il pianeta, gli Stati Uniti, come assoluti padroni delle istituzioni finanziarie internazionali e partendo della loro immensa forza politica, militare e tecnologica, raggiunsero il più spettacolare accumulo di ricchezza e di potere mai conosciuto nella storia.
Però, il mondo e la società capitalista entrarono in una tappa assolutamente nuova. Ormai, solo una parte insignificante delle operazioni economiche erano riferite alla produzione e al commercio mondiale; ogni giorno si svolgevano operazioni speculative per un valore di tre miliardi di dollari, relative alle monete e ad altri valori; nelle borse degli Stati Uniti i prezzi delle azioni crescevano come schiuma, molte volte senza alcun rapporto con gli utili e i guadagni delle imprese. Si crearono veri miti: ormai non c’era più crisi; il sistema poteva regolarsi , aveva creato i meccanismi pertinenti per avanzare e crescere senza interruzioni. Si arrivò a tali estremi nella creazione di ricchezze puramente immaginarie, che ci furono casi di azioni di mille dollari il cui valore s’incrementò 800 volte in solo otto anni. Era come un immenso pallone che si stava gonfiando all’infinito.
Così come si creavano tali ricchezze virtuali, si investivano, si spendevano si sperperavano. L’esperienza storica fu totalmente ignorata. La popolazione mondiale si era moltiplicata quattro volte in solo cento anni. Miliardi di esseri umani non partecipavano né usufruivano in assoluto di quelle ricchezze. Erano fornitori di materia prima e di mano d’opera a basso costo, però non consumavano né potevano essere consumatori. Non costituivano mercato, né erano parte di quel mare quasi infinito dove sfociava l’immenso fiume di prodotti che, in feroce concorrenza, usciva dagli impianti ogni volta più produttivi e meno creatori di impiego di un gruppo privilegiato ed esiguo di paesi industrializzati.
Era sufficiente un’elementare analisi per capire che quella situazione era insostenibile.
Sembrava che nessuno si rendeva conto che qualunque cosa apparentemente immanente che avveniva nell’economia di una regione del mondo, poteva scuotere il resto della struttura economico mondiale.
Gli architetti, specialisti ed amministratori del nuovo ordine economico internazionale, economisti e politici, man mano che la loro fantasia svanisce, riescono appena a capire di aver perso il controllo degli avvenimenti. Sono altre forze quelle che decidono: quelle delle grandi, e in continua crescita, potenti ed indipendenti aziende trasnazionali e le tenaci realtà, in attesa che il mondo veramente cambi.
In luglio del 1997 scoppia la prima grande crisi del mondo neoliberale globalizzato. Le tigri non graffiano più. Il Giappone non si è ancora ripreso ed il mondo ne soffre ancora le conseguenze.
In agosto del 1998, si presenta la cosiddetta crisi russa che, nonostante il suo insignificante apporto al Prodotto Interno Lordo mondiale, con appena il 2 per cento, sconvolse e fece ribassare di centinaia di punti, in poche ore, le borse valori degli Stati Uniti.
In gennaio del 1999, soltanto 5 mesi dopo, si produsse la crisi del Brasile.
Il G7, il FMI e la Banca Mondiale dovettero insieme impegnarsi a fondo per impedire che la crisi si estendesse a tutta l’America del Sud, assestando un colpo demolitore alle borse valori degli Stati Uniti.
Questa volta è successo l’inevitabile: la crisi è incominciata dagli Stati Uniti, all’inizio appena impercettibile. Dalla metà del 2000 cominciano a rendersi evidenti i primi sintomi, con una diminuzione sostenuta del ritmo della produzione industriale.
In marzo di quello stesso anno l’indice Nasdaq, della cosiddetta tecnologia di punta, era già incominciato a scendere.
Ugualmente, si produce un’enorme crescita del deficit commerciale: nel 1999 era stato di 264,9 miliardi e nel 2000 si alza a 368, 4 miliardi.
Nel secondo trimestre del 2000, il Prodotto Interno Lordo ha raggiunto una crescita del 5,7 per cento; nel terzo trimestre cresce solamente l’1,3 per cento.
Da ottobre del 2000 comincia a cadere la produzione del settore industriale.
Nonostante ciò, alla fine del 2000, i punti di vista sulle prospettive ed i pronostici dell’economia mondiale erano ancora abbastanza ottimisti. La realtà incominciò subito a mostrarsi francamente avversa.
Dall’inizio del 2001, il FMI, la Banca Mondiale, l’Organizzazione per la Cooperazione e per lo Sviluppo Economico (OCSE), la Commissione Europea, così come istituzioni private, vengono costrette ad abbassare le loro previsioni di crescita per il 2001 nelle distinte regioni.
Il FMI pronosticò a maggio un 3,2 per cento di crescita globale nell’anno 2001. Per gli Stati Uniti in particolare, la proiezione di crescita in questo mese era del l’1,5 per cento e per la zona dell’euro era del 2,4 per cento. Il Giappone attraversava la sua quarta recessione in dieci anni e si pronosticava un calo di meno 0,5 per cento nell’anno.
Il Direttore Generale del FMI, Horst Kohler, in un discorso pronunciato a Ginevra davanti al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC), il 16 luglio 2001, segnalò: "La crescita economica sta perdendo il ritmo in tutto il mondo. Questo può risultare scomodo per le economie avanzate (i paesi sviluppati e ricchi), però sarà una vera fonte di difficoltà per molti paesi con mercati emergenti ed in sviluppo (i paesi poveri e sottosviluppati) ed un retrocesso nella lotta contro la povertà".
La produzione cadde nella maggioranza dei paesi del Sud-Est Asiatico, a eccezione della Cina, e nell’America Latina. Secondo la Banca Mondiale, la crescita del Sud-Est Asiatico, che dopo il suo impressionante crollo del 1997 incominciava a riprendersi, sarebbe passata dal 7,6 per cento nel 2000 al 4,5 per cento in quest’anno, e quello del continente latino-americano sarebbe cresciuto di un 2 per cento, la metà della crescita del 2000.
Anche altre istituzioni avevano fatto pronostici. La rivista The Economist stimava in aprile che la crescita mondiale nel 2001 sarebbe stata solo del 2,7 per cento, ciò che contrastava con il risultato raggiunto nel 2000 del 4,6 per cento, mentre lo scambio commerciale nel mondo sarebbe cresciuto di un 3,5 per cento, comparato con un 13,4 per cento nel 2000.
Per la zona euro, la OCSE, nel suo rapporto semestrale divulgato agli inizi di maggio 2001, stimava che l’Unione Europea sarebbe cresciuta del 2,6 per cento, il che supponeva un taglio di 0,5 punti alla sua proiezione iniziale.
Il 10 settembre, solo un giorno prima degli avvenimenti di New York e Washington, il FMI rivide il corso delle previsioni di crescita dell’economia mondiale e quella degli Stati Uniti, dell’Europa e del Giappone nella seguente forma:
Economia mondiale: percentuali di crescita:
Autunno 2000 Marzo 2001 Primavera 2001 Settembre 2001 |
4,2 3,4 3,2 2,7 |
Cadeva progressivamente, in meno di un anno, da 4,2 a 2,7.
Stati Uniti:
Autunno 2000 Marzo 2001 Primavera 2001 Settembre 2001 |
3,2 1,7 1,5 1,5 |
La stessa caduta progressiva, da 3,2 a 1,5, nello stesso periodo.
Giappone:
Autunno 2000 Marzo 2001 Primavera 2001 Settembre 2001 |
1,8 1,0 0,6 0,2 |
I numeri parlano da soli.
Zona Euro:
Autunno 2000 Marzo 2001 Primavera 2001 Settembre 2001 |
3,4 2,7 2,4 1,9 |
Senza alcuna eccezione, il ritmo di crescita dei tre grandi centri dell’economia mondiale diminuiva simultaneamente a meno della metà in meno di un anno. Nel caso specifico del Giappone, si ridusse quasi allo zero.
Situazione dell’occupazione:
Alla fine del 2000, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti era solo del 3,9 per cento. Come si sviluppò nel 2001?
Tasso di disoccupazione (percentuale):
Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto |
4,2 4,3 4,5 4,4 4,5 4,5 4,9 |
Anche se non si conosce il dato ufficiale, si calcola che la disoccupazione raggiunge ormai il 5,1 per cento , cifra che negli Stai Uniti non si registrava da molti anni.
Oggi, 2 novembre, con questo materiale già redatto, si pubblica la cifra ufficiale che è di 5,4. In un solo mese si persero 415 mila posti di lavoro. È la maggior riduzione netta di posti di lavoro da maggio del 1980, 21 anni fa.
L’evoluzione del tasso di disoccupazione è una prova esauriente del deterioramento che stava soffrendo questa economia giusto prima dell’attacco terrorista.
Come precedente importante bisogna considerare che, negli ultimi cinquant’anni, ogni volta che il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 5,1 per cento è cominciato un periodo di recesso.
Percentuale della capacità industriale utilizzata negli Stati Uniti nell’anno 2001:
Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto |
79,2 78,7 78,4 78,0 77,1 77,0 76,4 |
In agosto, la produzione industriale calò di 0,6 punti percentuali rispetto a quello raggiunto a luglio. Negli ultimi dodici mesi la produzione industriale aveva sofferto una contrazione di circa il 5 per cento. Con il dato di agosto, ormai sommavano undici mesi consecutivi di contrazione.
La cifra registrata in agosto è molto vicina al livello più basso raggiunto dal 1983.
Nel mese di agosto 2001 si produsse un deficit di 80 miliardi di dollari nel bilancio.
In questo mese i congressisti democratici segnalavano ormai che le previsioni indicavano che il governo avrebbe dovuto utilizzare parte del denaro della previdenza sociale per finanziare le spese correnti.
Durante il secondo trimestre del 2001 le importazioni nordamericane si contrassero di 13,9 miliardi di dollari, mentre il basso livello di attività nel resto del mondo propiziò una riduzione delle esportazioni pari a 9,1 miliardi di dollari.
Il valore delle azioni dei principali indici di borsa durante l’anno in corso sono decresciuti della seguente maniera:
Dow Jones Nasdaq Standard & Poor’s (S&P) |
18,06% 66,42% 28,48% |
Ciò equivale alla perdita di trilioni di dollari in meno di un anno.
Durante l’anno in corso, la Riserva Federale ha riabbassato nove volte i tassi d’interesse. L’obiettivo è ribassare il costo del denaro, sostenere la fiducia del consumatore e con questo dare una spinta all’attività economica. Questa frenetica frequenza esprime disperazione.
Europa
La produzione industriale nella zona europea mostrò una continua discesa nel primo semestre dell’anno 2001. Questa diminuzione obbliga le imprese a ridurre il personale e questo, a sua volta, riduce il consumo , creandosi così un circolo vizioso depressivo.
L’investimento ed il consumo furono schiacciati, accentuandosi la tendenza alla recessione.
Il Commissario europeo degli Affari Monetari dichiarò che l’economia europea crescerà solo un 1,5 per cento quest’anno, ed i sei istituti di ricerca economica più prestigiosi della Germania ridussero allo 0,7 per cento e all’1,3 per cento la crescita del suddetto paese per quest’anno e per il prossimo rispettivamente, annunciando che l’economia tedesca è sull’orlo della recessione, Il che ha un forte impatto negativo per l’Europa, in quanto la Germania viene considerata la sua "locomotiva economica".
Giappone
Il Prodotto Interno Lordo reale del primo trimestre del 2001 nel Giappone cadde più di quanto era stato previsto, mostrando una discesa dello 0,2 per cento contro l’aspettativa dello 0,1 per cento, mentre nel secondo trimestre si contrasse dello 0,8 per cento in più.
La produzione industriale iniziò a marzo una discesa che in agosto ormai raggiunse l’11,7 per cento. Questo fenomeno di sei mesi consecutivi di caduta della produzione industriale non si manifestava nell’economia giapponese dal periodo dicembre 1991- maggio 1992 e situa la produzione industriale al livello più basso degli ultimi sette anni, ciò che significa una crisi peggiore di quella finanziaria del 1997-1998, secondo analisti giapponesi.
L’eccedenza commerciale del Giappone diminuì del 48 per cento a luglio di quest’anno.
Come misura di difesa le imprese ridussero le piante organiche del personale, per cui aumentò anche il tasso di disoccupazione, raggiungendo il massimo storico del 5 per cento di quest’anno, una cosa che non si era mai vista in Giappone.
America Latina
In agosto, la Commissione Economica per l’America Latina ed i Caraibi (CEPAL) informava che la regione sarebbe cresciuta solo un 2 per cento nel 2001, appena la metà dell’anno scorso, (4 per cento), correggendo così la sua precedente proiezione, divulgata in maggio, dove consideravano un aumento del Prodotto Interno Lordo tra il 2,7 e 3 per cento.
Secondo quanto spiegano, ciò è dovuto all’indebolimento mondiale e alla instabilità di alcuni paesi chiave della regione: Perù ed Uruguay mostrano una crescita nulla; In Brasile la mancanza di fornitura energetica ha colpito l’attività produttiva e c’è stata una svalutazione della sua moneta di circa il 40 per cento durante questo anno; il Cile frenò la sua riattivazione. Nel caso del Messico si prevede una debole crescita economica dello 0,13 per cento quest’anno e del 1,74 per cento per il 2002. Il governo aveva originalmente progettato una crescita del 4,5 per cento del Prodotto Interno Lordo per il 2001, però lo riabbassato in varie occasioni a causa della diminuzione del ritmo dell’economia mondiale, e in modo speciale degli Stati Uniti.
La CEPAL considera che la disoccupazione nella regione aumenterà come minimo all’8,5 per cento.
Oggi alcune persone parlano tranquillamente della "crisi economica mondiale cagionata dagli atti terroristici che ebbero luogo negli Stati Uniti l’11 settembre e dalla guerra contro l’Afganistan scatenata il 7 ottobre". Questa affermazione è carente di fondamenti . Ciò che ho appena riferito lo dimostra inconfutabilmente. La crisi si stava già scatenando in maniera inarrestabile.
Settimanalmente sono solito ricevere un bollettino con le notizie più importanti di carattere economico che provengono dalle più prestigiose e sicure fonti pubbliche d’informazione, o da dichiarazioni di testi di specialisti e dirigenti politici. In modo particolare ricordavo il bollettino che ricevetti, con data 8 settembre 2001, tre giorni prima della grande tragedia avvenuta a New York. In molti anni non ho mai letto, in un solo bollettino, notizie peggiori sulle prospettive dell’economia internazionale.
Ebbi la curiosità di ritornare a leggerlo. Tra le sue informazioni ne scelsi alcune che testualmente dicono:
"Hitachi Ltd., il più grande fabbricante di prodotti elettronici del Giappone, annunciò che taglierà quest’anno 14 700 posti di lavoro, il 4 per cento della sua pianta organica, mentre si prepara per una perdita di oltre un miliardo di dollari causata dalla caduta del settore tecnologico."
"I conglomerati giapponesi rivali di semiconduttori Toshiba Corp, NEC Corp e Fujitsu Ltd. Avvertirono anch’essi che stanno pianificando il taglio di migliaia di posti di lavoro." (CNN, 31/08/2001)
"Il presidente della Riserva Federale degli Stati Uniti manifestò che l’aumento dei prezzi delle abitazioni, nello stesso momento che è crollato il mercato azionario, sta generando difficoltà alla banca centrale per diagnosticare lo stato dell’economia del paese. Dichiarò che questa divergenza ‘potrebbe avere implicazioni significative ‘ per la crescita economica del paese" (The Wall Street Journal, 31/08/2001)
"La Riserva Federale statunitense ha avvertito, nel suo ultimo rapporto agli enti bancari del paese, che non hanno rafforzato sufficientemente i loro sistemi di controllo di rischi come obbliga il momento di rallentamento economico che sta vivendo l’economia internazionale". (Giornale Spagnolo Cinco Días , 03/09/2001)
"La Commissione Europea ha ammesso ieri che la previsione della crescita economica della zona euro per quest’anno sarà al di sotto del 2,5%. Così ha riconosciuto il commissario dell’Economia e delle Finanze Pedro Solbes che manifestò che Bruxelles ha "alcuni dubbi" su questa cifra. Il ribasso dei tassi di un quarto di punto, annunciato la settimana scorsa dal Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), venne accompagnato da un riconoscimento esplicito di un errore di calcolo. ‘Quello che abbiamo sottovalutato è il fatto che il rallentamento negli Stati Uniti si sta facendo lungo e severo’, spiegò Duisenberg. ‘Se posso dirlo, noi, ed anche le autorità degli Stati Uniti, abbiamo avuto la tendenza ad essere troppo ottimisti sulla durata e sulla profondità di questo rallentamento’, disse ricordando le opinioni del Segretario del Tesoro, Paul O’Neill.
"Le difficoltà di orientamento del BCE sono contenute in questa schietta analisi, che arriva un poco tardi dopo la prudente riduzione della previsione di crescita nell’eurozona, formulata in gennaio, dal 3,2 al 2 per cento valutato in questi giorni": (Giornale Spagnolo Cinco Días , 03/09/2001)
Il Presidente degli Stati Uniti ha riconosciuto la sua preoccupazione per il persistente indebolimento dell’attività economica nordamericana e le sue ripercussioni sul mercato del lavoro. ‘Sono cosciente dei problemi che affrontano le famiglie dei lavoratori colpiti dalla crisi economica, però sono convinto che l’economia si riprenderà’, affermò in riunione di gruppi sindacali.
"Con un’economia sull’orlo della recessione, Il Presidente cercò di convincere i lavoratori nordamericani che lui conosce la loro situazione e che sta facendo qualcosa per risolverla. La questione è complicata, giacché l’indebolimento della fiducia dei consumatori, la discesa dei mercati finanziari e la timida crescita della grande potenza mondiale hanno provocato che nell’agenda del Presidente abbiano priorità le questioni economiche."
(giornale spagnolo Expansión, 04/09/2001)
Si osservi che il presidente Bush, non molto legato a questi temi, fa la sua dichiarazione una settimana prima dell’11 settembre.
"La crescita è praticamente frenata in America Latina secondo i dati del Prodotto Interno Lordo del primo semestre".
"Il bilancio del 2001 evidenzierà una nuova caduta del Prodotto Interno Lordo pro capite nella regione, assicura il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria nell’ultimo rapporto su America Latina. La suddetta banca ha ribassato la sua previsione di crescita per l’insieme di questi paesi dal 3,9 per cento iniziale all’uno per cento, un livello insufficiente per equilibrare la crescita della popolazione.
"Le cause di questo maggiore pessimismo bisogna trovarle in un rallentamento mondiale superiore a quello previsto agli inizi dell’anno".
"La debolezza della crescita delle principali economie si è tradotta in una forte riduzione della domanda esterna e, per tanto, delle esportazioni anche nell’America Latina.
"L’economia messicana è quella che ha sofferto di più le conseguenze, data la sua alta dipendenza dall’attività industriale degli Stati Uniti. Ciò ridurrà la sua crescita quest’anno allo 0,2 per cento – secondo la suddetta banca – in confronto al 6,9 per cento registrato nel 2000." (giornale spagnolo Cinco Díasn, 04/09/2001)
"Il numero di licenziamenti annunciati negli Stati Uniti nei mesi scorsi dell’anno in corso supera ormai il milione, nonostante il ritmo dei tagli sia diminuito in agosto. Le compagnie statunitensi annunciarono piani per eliminare, in totale, 140 019 posti di lavoro durante questo mese. Ciò rappresenta un 32 per cento meno del totale di luglio, però più del doppio degli altri tagli registrati in agosto 2000. In questo modo, il totale accumulato nei primi otto mesi raggiunge la cifra di 1 120 000 posti di lavoro eliminati, un 83 per cento in più del totale dei tagli per tutto l’anno 2000. Il settore di telecomunicazioni continua ad essere il più colpito, con il 19 per cento dei posti di lavoro eliminati nei mesi scorsi dell’anno in corso." (giornale spagnolo Cinco Días, 05/09/2001)
"Alle serie difficoltà di bilancio della Germania, l’Italia e della più debole Spagna, si unisce quelle della Francia, il cui deficit di cassa salì il 16 per cento nei primi cinque mesi dell’Anno." (giornale spagnolo Expansión, 05/09/2001)
Il Ministro dell’Economia tedesco, Werner Müller, ammise che la crescita del Prodotto Interno Lordo del gigante tedesco non raggiungerà quest’anno l’1,5 per cento. Fino ad oggi aveva ammesso che la crescita sarebbe stata "al di sotto del 2 per cento". Le dichiarazioni di Müller sono una doccia fredda per coloro che avevano scommesso sul pronto recupero dell’economia tedesca (giornale spagnolo Cinco Días, 05/09/2001)
Quando l’industria degli Stati Uniti incominciava a dare alcuni segnali positivi di ripresa, adesso è dal settore dei servizi che cade un’altra doccia fredda sulle aspettative. L’attività del settore dei servizi ritornò a contrarsi in agosto, secondo i dati dell’Associazione Nazionale dei Gestori di Vendite. Il suo indice mensile di attività passò da 48,9 in luglio a 45,5 punti in agosto, ciò lo porta ad essere il secondo mese consecutivo al di sotto dei 50, che viene considerata la barriera tra la recessione e la crescita. In agosto si produsse una forte caduta delle nuove ordini, ciò che indica un forte deterioramento delle attività per i prossimi mesi. Il dato superò ampiamente le previsioni degli analisti che aspettavano una riduzione minima di 48 punti ." (giornale spagnolo Cinco Días, 06/09/2001)
"Secondo cifre del Fondo Monetario Internazionale, da 500 miliardi a 1,5 trilioni di dollari – tra l’1,5 per cento ed il 4,5 per cento del Prodotto Interno Lordo mondiale – generati in attività illecite sono lavati attraverso il sistema bancario." (giornale spagnolo El País, 06/09/2001)
"La Banca Centrale del Regno Unito modificò un poco le sue previsioni di crescita del Prodotto Interno Lordo al 2 per cento per il 2001, il livello più basso dalla recessione dagli inizi degli anni novanta." (giornale spagnolo Cinco Días, 06/09/2001)
"L’agenzia Moody’s, (specializzata in analisi di rischi e considerata il leader mondiale in materia), avvertì ieri sulla possibilità di ribassare la qualificazione dei buoni sovrani del Giappone."
"Oggi si porterà a conoscenza il dato del Prodotto Interno Lordo del secondo trimestre dell’anno, e le previsioni degli analisti indicano che rifletterà una caduta tra lo 0,9 per cento e l’1 per cento. Se così sarà, l’economia entrerebbe tecnicamente in recessione dopo che, tra gennaio e marzo, il Prodotto Interno Lordo si era contratto dello 0,2 per cento. Il dato mette in dubbio il futuro della seconda economia mondiale in un contesto di rallentamento accentuato dalla la debolezza degli Stati Uniti." (giornale spagnolo Cinco Días, 07/09/2001)
Come si può apprezzare, la crisi economica non è la conseguenza degli attacchi dell’11 settembre e della guerra contro Afganistan. Si potrebbe affermare ciò solo per ignoranza o per interesse di occultare la sua vera causa. La crisi è la conseguenza della strepitosa ed irreversibile sconfitta di una concezione economica e politica imposta al mondo: il neoliberismo e la globalizzazione neoliberale.
L’atto terrorista e la guerra non generano bensì rendono più grave la crisi. Quello che stava avanzando in maniera accelerata, crolla in modo inopportuno ed improvviso. L’umanità deve ora affrontare tre problemi molto seri: il terrorismo, la guerra e la crisi economica.
La crisi economica significa inoltre l’inasprimento di problemi di grande importanza la cui soluzione è lontana: la povertà, la fame e le malattie che uccidono ogni giorno decine di milioni di persone nel mondo; l’analfabetismo, la mancanza di cultura, la disoccupazione, lo sfruttamento del lavoro e la prostituzione di milioni di bambini; il traffico e il consumo di droghe che mobilitano e assorbiscono centinaia di migliaia di milioni di dollari; il lavaggio di denaro sporco; la mancanza d’acqua; la scarsità di case, ospedali, comunicazioni, scuole e centri d’istruzione. Danneggiano i diritti vitali di tutti gli esseri umani.
La crisi avrà un impatto molto negativo sulla lotta per lo sviluppo sostenibile, la preservazione dell’ambiente e la protezione della natura di fronte alla spietata distruzione a cui è sottoposta, e che cagiona l’avvelenamento delle acque e dell’atmosfera, la distruzione dell’ozonosfera, delle foreste, la desertificazione e la scomparsa di animali e piante. Com’è possibile non rendersi conto di questo?
Ci sono nazioni, e persino intere regioni del mondo che possono scomparire se flagelli così temibili come l’AIDS non vengono combattuti con urgenza e sconfitti dall’uomo; se il terrorismo, la guerra e la crisi economica non vengono immediatamente affrontate. Oggi come non mai è necessaria la cooperazione tra tutti i paesi del mondo.
Anche se risulta imprescindibile ritornare su questo tema prima di concludere il mio intervento, voglio spiegare prima come influisce, e con sicurezza influirà, l’attuale situazione internazionale e la crisi economica sul nostro paese.
La crisi economica veniva danneggiando alcune delle nostre principali fonti di valuta.
Conseguenze immediate più dirette: il prezzo dello zucchero nel mercato mondiale è calato da 9 a 6,53 centesimi la libbra; il prezzo del nichel, un’altra delle voci la cui produzione si era incrementata con riduzione del costo e delle spese in combustibile, si ridusse da 8640 dollari la tonnellata a 4715 dollari; le vendite di tabacco, un altro tra i nostri più importanti prodotti di esportazione, diminuiscono in tutti i mercati. Limita anche altre esportazioni di beni e di servizi che si venivano sviluppando.
Conseguenze dirette dell’atto terrorista e dello scatenarsi della guerra
Nonostante la crisi economica mondiale che si sviluppava e l’aumento del prezzo dei biglietti aerei motivato dal costo del combustibile, fino al 31 agosto si ricevettero 1 304 597 turisti, il che rappresentava una crescita dell’8,7 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando si ricevettero 1 200 76 turisti.
Il numero di turisti che alloggiarono in strutture del sistema turistico crebbe del 11,3 per cento.
A settembre, il numero totale dei turisti diminuì, in soli 20 giorni, del 9,9 per cento rispetto allo stesso mese dell’ano precedente. Si calcola che la diminuzione del numero di turisti nel mese di ottobre supererà il 14 per cento. Varadero e Città dell’Avana, i due centri turistici di maggiore importanza, sono i poli più colpiti.
Era fattibile raggiungere l’obiettivo di due milioni di turisti, e al primo milione si arrivò tre settimane prima dell’anno scorso, nel primo semestre. Adesso la crescita probabile sarà appena dal 3 al 6 per cento.
Per i Caraibi il danno divenne più forte dopo l’11 settembre. Essi dipendevano maggiormente dal turismo nordamericano.
Ci sono danni aggiuntivi per le cause segnalate e per altre cause aliene al terrorismo ed alla guerra.
Si limita il conseguimento di crediti a causa della riduzione delle entrate in valuta.
Esistono obblighi finanziari che devono saldarsi nonostante la riduzione delle entrate in valuta.
Casse di cambio
Sulle casse di cambio (CADECAS) l’inizio dei bombardamenti causò un effetto immediato. Perché si possa capire meglio, devo spiegare che nei momenti più difficili del periodo speciale la nostra moneta, il peso cubano, si svalutò fino a 150 pesos per dollaro. Le misure adottate e la creazione delle CADECAS resero possibile la sua rivalutazione fino a 20 pesos per dollaro. Ciò significò un importante beneficio per la popolazione: rivalutò il suo denaro ed offrì ai cittadini l’accesso ai negozi dove si compra in valuta.
Durante cinque anni il nostro paese, unico caso nel mondo, nonostante il blocco e la guerra economica, riuscì a mantenere stabile il valore della sua moneta, con minime fluttuazioni in una o l’altra direzione. La banca otteneva sempre una piccola differenza in suo favore, perché le CADECAS ricevevano più offerte di dollari per pesos che offerte di pesos per il nostro peso convertibile. La differenza ottenuta veniva dedicata totalmente all’acquisto in valuta di materie prime per elaborare prodotti che si vendono in pesos alla popolazione, che vanno dal pane fino alla birra etichettata e molti altri prodotti. I fondi in moneta nazionale che si recuperavano, a loro volta, servivano per mantenere la stabilità del rapporto peso-dollaro.
La situazione si rovesciò: l’offerta del dollaro diminuì e l’acquisto di pesos convertibili aumentò. Per 20 giorni consecutivi, eccetto tre, la banca fornì più dollari di quelli che ricevette. Il saldo sfavorevole raggiunse quasi 4 milioni di dollari.
Nelle CADECAS si lavora sotto il principio dell’offerta e della domanda; non può essere in un altro modo. In un determinato momento, in molte province il cambio raggiunse la cifra di 28 pesos per un peso convertibile. Tre giorni dopo si stabilizzò attorno ai 26 pesos per peso convertibile, il quale è equivalente e convertibile al dollaro appena lo richieda il posseditore.
In tali circostanze, il peso perse il 18,18 per cento del suo valore. È una situazione che dev’essere seguita da vicino. In questo momento il paese non deve rischiare le risorse in valuta. Il nostro dovere è informare i cittadini perché possano decidere ragionevolmente secondo le circostanze. In momenti in cui la situazione spinge alla svalutazione del peso, non devono ascoltare i consigli degli speculatori né farsi trascinare dalla paura.
Non si può dimenticare che la Rivoluzione, in condizioni tanto dure quanto quelle del 1994, fu capace d’iniziare la riduzione del cambio di 150 pesos per dollaro a 20 per dollaro e lo mantenne così per molti anni. La popolazione ha l’opportunità di fare depositi a scadenza fissa in pesos, per i quali riceve un interesse annuo del 7,5 per cento, il triplo di ciò che si paga per il dollaro, ed il 50 per cento in più di interesse rispetto al peso convertibile.
Alla fine, la Rivoluzione vincerà anche questa battaglia contro le conseguenze della crisi economica internazionale, per quanto grave possa diventare, ed il suo denaro si rivaluterà in qualunque circostanza.
La Rivoluzione, con tutta l’autorità morale che possiede, garantisce a tutti i cittadini che:
Non abbiamo vissuto invano dieci anni di periodo speciale.
Oggi, la preoccupazione principale del nostro popolo e del nostro pianeta è senza dubbio che sia preservata la pace, senza la quale il mondo marcerebbe verso un fatale abisso. E per questa pace lotteremo con valore, con onore, con dignità, come lo abbiamo fatto sempre.
Affronteremo la crisi economica vittoriosamente. Nessun sacrificio ci fa paura, nemmeno quello della vita. Questo si sa molto bene. Abbiamo sopportato tutti i sacrifici per molti anni. Coloro che pensavano che la Rivoluzione sarebbe durata solo poche settimane, ammirano oggi la nostra eroica capacità di resistere e di avanzare.
Lunghe pagine potrebbero essere riempite con gli atti eroici da noi realizzati. Basta ricordarne solo alcuni:
Non è necessario parlare della battaglia di idee e del colossale progetto sociale che voi conoscete e che ci conduce ad un socialismo molto più giusto e perfetto e, al tempo stesso, verso la meta di trasformarci nel popolo più educato e più colto del mondo. È sufficiente dire che questo progetto comprende 70 programmi e centinaia di compiti di cui alcuni tra i più importanti, già compiuti.
Alcuni sogni futuri dovranno attendere prima essere realizzati, però anche questi alla fine si compieranno.
Gli investimenti più importanti sono stati già fatti, e furono minimi. Il ruolo fondamentale lo ha giocato, e continuerà a giocarlo, l’immenso capitale umano del nostro popolo.
Oggi, politicamente, siamo più uniti e più forti che mai.
Siamo molto meglio preparati che mai per affrontare questa situazione.
La nostra giustizia sociale permette proteggere tutti i cittadini.
Esiste una maggior organizzazione nelle nostre istituzioni politiche e di massa, nel nostro Stato e nel nostro Governo.
Il nostro sistema imprenditoriale si perfeziona. Abbiamo imparato a produrre, con poche risorse, più efficacia e più disciplina.
Sappiamo bene quello che è successo nel mondo con coloro che rinunciarono al socialismo e hanno applicato le ricette neoliberali.
Contiamo su un popolo ogni giorno più colto, più cosciente e meglio preparato in tutti i sensi.
Quando inziò il periodo speciale la nostra ideologia socialista aveva sofferto un terribile colpo. Oggi il terribile colpo lo riceve l’ideologia dell’avversario con la sua profonda crisi economica ed ideologica.
Vi ho avvertiti che prima di concludere sarei ritornato sul tema del terrorismo, della guerra e della crisi economica internazionale.
Anche se la nostra posizione è ben conosciuta, mi sembra giusto ricordare che lo stesso 11 settembre, a poche ore dai fatti, e avendo espresso la nostra condanna totale al brutale atto e la nostra sincera e disinteressata solidarietà al popolo degli Stati Uniti – giacché non chiedemmo né aspettavamo niente in cambio -, esprimemmo una convinzione che fino ad oggi abbiamo mantenuto con più forza e sicurezza che mai: "Nessuno degli attuali problemi del mondo si può risolvere mediante la forza. [...] La comunità internazionale deve creare una coscienza mondiale contro il terrorismo. [...] Solo la politica intelligente di cercare le forze del consenso, e l’opinione pubblica internazionale possono sradicare il problema. [...] Questo fatto così insolito potrebbe servire per creare la lotta internazionale contro il terrorismo. [...]
Una settimana dopo, a San Antonio de los Baños, dissi a nome del nostro popolo: "Qualunque cosa succeda (cioè ci sia o meno la guerra), non si permetterà mai che il nostro territorio sia utilizzato per azioni terroriste contro il popolo degli Stati Uniti."
Aggiunsi qualcosa : "E faremo tutto il possibile per evitare azioni di questo tipo contro di esso. Oggi esprimiamo la nostra solidarietà con l’esortazione alla calma e alla pace. Un giorno ci daranno ragione."
Una settimana più tardi, il 29 settembre, nella Tribuna aperta della Rivoluzione a Ciego de Ávila, continuai insistendo nei nostri punti di vista: "Tuttavia, nessuno s’illuda che i popoli e molti dirigenti politici onesti potranno non reagire appena le azioni di guerra diventeranno una realtà e le loro orribili immagini cominceranno a difondersi. Allora queste sostituiranno le tristi ed impattanti immagini di quanto avvenuto a New York. Dimenticarle cagionerebbe un danno irreparabile al sentimento di solidarietà con il popolo nordamericano, che oggi è un fattore fondamentale per eliminare il terrorismo senza bisogno di guerre dalle imprevedibili conseguenze e senza la morte di un numero incalcolabile di persone innocenti.
"Ormai si osservano le prime vittime: milioni di persone che sfuggono alla guerra; immagini di cadaverici bambini che sconvolgeranno il mondo, tanto più che non ci sarà niente che possa impedire la loro divulgazione."
I fatti che avvengono ci danno ogni volta più ragione.
Un editoriale del giornale Granma, organo ufficiale del nostro partito, pubblicato l’8 ottobre, poche ore dopo che si era scatenata la guerra, diceva: "Non è una guerra contro il terrorismo; [...] è una guerra in favore del terrorismo, le cui operazioni militari lo renderanno più complicato e difficile da sradicare. Peggio il rimedio del male.
"Adesso pioveranno notizie su bombe, missili, attacchi aerei, avanzamento di blindati con truppe di etnie alleate agli invasori, sbarco aereo o avanzamento terrestre di forze élite dei paesi attaccanti; città conquistate, compresa la capitale, in tempi più o meno brevi; immagini televisive autorizzate dalla censura o sfuggite ad essa. I combattimenti saranno contro gli abitanti del paese e non contro i terroristi. Non ci sono battaglioni né eserciti di terroristi. Questo costituisce un metodo tenebroso, un concetto sinistro di lotta, un fantasma."
Ormai a 26 giorni di bombardamento senza tregua, coloro che abbiano seguito giorno dopo giorno i fatti, possono osservare che quanto successo fino ad oggi, si compie come lo avevamo previsto.
La guerra era iniziata inesorabilmente. Sapevamo che era molto difficile, praticamente impossibile che non accadesse ciò. Ma non per questo, né prima né dopo ci scoraggiamo, ne abbandonammo le nostre posizioni.
Abbiamo insistito sul fatto che bisognava lottare contro il terrorismo e contro la guerra. Non ci animò mai lo spirito di rivalsa o di rancore contro gli Stati Uniti. Nonostante ciò meditavo sull’errore che stavano, a mio giudizio, commettendo, ma non pronunciai mai un insulto o un’offesa personale. Non poche volte ho affermato davanti a coloro che partecipavano a questa grande lotta di idee che non bisogna ferire personalmente nessuno. Elencare i fatti, evitare aggettivi, analizzare freddamente, usare argomenti. Questo preserverà la nostra autorità morale e nessuno avrà il diritto di mettere in dubbio la forza e la sincerità delle nostre posizioni.
Oggi temo che se è esistita la possibilità di sconfiggere il terrorismo senza la guerra, attraverso la cooperazione e l’appoggio unanime di tutta la comunità internazionale, che desse luogo a misure veramente efficienti e alla formazione di una profonda coscienza morale contro il terrorismo, essa si allontana ogni giorno di più.
Il peggio sarebbe arrivare al punto in cui non sia ormai possibile trovare una soluzione usando quella via perché vedo, ogni volta con più chiarezza, quanto assurdo ed impossibile sia risolverlo mediante la guerra. Cerco d’indovinare che cosa passava per la mente degli strateghi politici e militari statunitensi. Forse pensarono che il colossale spiegamento di forze avrebbe schiacciato la volontà dei taliban; forse c’era la speranza che il colpo demolitore iniziale avrebbe raggiunto questo obbiettivo. Tutti conoscono il calcolo della NATO nella guerra contro la Yugoslavia; l’idea era che l’obiettivo sarebbe stato raggiunto in cinque giorni, ed invece ne erano passati quasi 80 senza averlo raggiunto. Ugualmente si sa che, nonostante lo spiegamento straordinario di tecnica e mezzi, l’esercito serbo era praticamente intatto. Non fu poca la pressione degli inviati della Russia e della Finlandia per "persuadere" l’avversario per via diplomatica quando era arrivata l’ora del combattimento terrestre, qualcosa che piaceva molto poco a molti membri della coalizione.
Non condivido il criterio che l’obiettivo degli Stati Uniti era quello di cercare petrolio. Credo di più ad una concezione geostrategica. Nessuno commette un simile errore per cercare petrolio, meno se si tratta di un paese che ha accesso a qualunque petrolio del mondo, incluso a tutto il petrolio e al gas russo che desideri. È sufficiente comprarlo e pagarlo. In virtù dei suoi privilegi, compreso quello di poter acquistare titoli pubblici della Riserva a 30 anni. Così ha comperato prodotti e servizi per più di 5,6 milioni di dollari lungo più di 80 anni.
L’azione militare in Afganistan è piena di pericoli. È una regione ad alto rischio di conflitti, dove due grandi paesi hanno iniziato diverse guerre. Tra loro esistono profondi antagonismi nazionali religiosi. La popolazione del territorio in disputa è maggiormente musulmana. Esasperati gli animi, nessuno può assicurare che non scoppi una guerra. Ambedue possiedono le armi nucleari. Questo rischio è tanto grave quanto quello che la guerra destabilizzi il governo del Pakistan. Viene collocato in una posizione sommamente complessa. Da qui sorsero i taliban, che compartono la stessa etnia pashtun con un numero indeterminato, non minore di dieci milioni, di pachistani. Utilizzo la cifra più piccola di quelle ricordate. Condividono anche, con lo stesso fervore fanatico, le stesse credenze religiose.
I militari nordamericani di solito sono studiosi del loro mestiere. Ho conosciuto vari di loro quando, dopo essere andati in pensione, hanno visitato Cuba come accademici. Scrivono libri, narrano storie e realizzano analisi politiche. Per questo non mi sorprese per niente l’informazione fatta conoscere nella rivista The New Yorker, che esisteva un piano di contingenza per prendere possesso delle testate nucleari del Pakistan se un gruppo radicale dovesse occupare il governo di questo paese.
È assolutamente impossibile che gli strateghi nordamericani, non abbiano previsto questo rischio reale. Ogni bomba che cade sopra l'Afganistan, ogni immagine di bimbi morti, agonizzando o soffrendo per terribili ferite, fa aumentare questo rischio. Ciò che non posso immaginare è quale sarà la reazione dei responsabili che devono proteggere queste armi davanti questa possibile azione, che è tanto pubblica come Cronacha di una morte annunciata, di Garcia Marquez.
Ignoro ciò che i servizi nordamericani debbono conoscere molto bene: dove sono custodite queste testate nucleari, come si custodiscono e come si proteggono. Cerco di immaginarmi – e non è una cosa facile – come si svolgerebbe un’azione di questo tipo con truppe élite. Forse qualcuno racconterà un giorno come si deve fare. Però non mi posso ancora immaginare quale sarà il quadro politico dopo un’azione di questo tipo, e la lotta allora sarà contro più di 100 milioni di mussulmani. Il governo degli stati Uniti ha negato la notizia di tale piano di contingenza. C’era da aspettarselo. Non avevano altra alternativa.
La domanda più logica che mi posso fare è se per caso i capi di governo e gli statisti amici degli Stati Uniti con una lunga esperienza pratica e politica, non videro i pericoli potenziali segnalati, e perché non avvertirono loro, perché non gli dissuasero. È’ provato che agli Stati Uniti i loro amici gli temono, però non gli stimano.
Risulta sempre difficile fare congetture su questi temi. Di una cosa si può stare assolutamente sicuri: è sufficiente che con 20 mila o 30 mila uomini utilizzino metodi intelligenti di guerra irregolare, gli stessi che vogliono usare gli Stati Uniti, e questa lotta può durare 20 anni. É assolutamente impossibile ridurre gli avversari afgani in una guerra irregolare con bombe e missili, qualunque fosse il calibro o la potenza di queste armi, in un terreno come quello di Afganistan.
Il momento psicologico più difficile ormai lo hanno superato. Hanno perso tutto: famiglia, beni, case. Non resta loro assolutamente niente da perdere. Nessuna logica indica che deporranno le armi, neanche quando i loro capi principali siano eliminarti. L’impiego di armi nucleari tattiche, come suggeriscono alcuni, sarebbe come moltiplicare per cento gli errori e, insieme a questo, un’irresistibile critica ed un isolamento universale. Perciò, non ho mai creduto che tali tattiche siano state seriamente pensate da coloro che dirigono questo paese, neanche in mezzo alla più grande ira.
Sono riflessioni che faccio ad alta voce. Penso che si è solidale con il popolo nordamericano, che perse migliaia di vite innocenti, inclusi bambini e bambine, giovani ed anziani, uomini e donne, in un’aggressione atroce, se con franchezza si dice quello che si pensa. Che non risulti inutile il sacrificio di quelle vite; che serva per salvare molte altre vite, per dimostrare che il pensiero e la coscienza possono più del terrore e della morte.
Non stiamo suggerendo che alcun crimine commesso sulla terra resti senza castigo. Non ho elementi di giudizio per accusare nessuno; però se i colpevoli fossero coloro che il governo degli Stai Uniti cerca di castigare ed eliminare, nessuno deve avere il benché minimo dubbio che la forma in cui lo stanno facendo, farà sorgere altari dove milioni di uomini e donne venereranno come santi coloro che essi ritengono loro carnefici.
Varrebbe di più un altare gigantesco dedicato alla pace, dove l’umanità renda omaggio a tutti coloro che siano state vittime innocenti del terrore e della violenza cieca, siano essi bambini nordamericani o bambini afgani. Lo dice un avversario della politica degli Stati Uniti, che crede di avere un’idea della storia, della psicologia, e della giustizia umana; non un nemico.
Essendo arrivato a questo punto mi manca un ultimo tema.
È assolutamente incomprensibile ciò che sta succedendo con l’antrace. Si è creato un vero e proprio panico. Gli stock di medicine contro questo batterio si stanno consumando. Molte persone acquistano maschere antigas e artefatti di ogni tipo, alcuni dei quali costano migliaia di dollari.
Le stravaganze possono causare più danni della stessa malattia. Quando una malattia nasce, qualunque sia la causa, l’essenziale è avvertire ed informare la popolazione cos’è e quali misure prendere per prevenirla, diagnosticarla o combatterla.
Le malattie si trasmettono da un paese all’altro per vie naturali, che possono essere le persone, animali, piante, alimenti, insetti, prodotti commerciali, e mille forme differenti, senza che nessuno debba produrle in laboratorio. Così è accaduto storicamente. Per questo esistono tanti regolamenti sanitari. Il tipo di caos e di reazione psicologica creata dall’antrace converte la società nordamericana in ostaggio di coloro che desiderano farle danno attraverso questa via, sapendo che precedentemente semineranno il terrore.
Il nostro paese ha dovuto affrontare in numerose occasioni nuove malattie che colpiscono persone, piantagioni e branchi di animali, molte di queste introdotte intenzionalmente. Non per niente il paese dispone di 67128 medici e migliaia di tecnici nella sanità vegetale e animale. La nostra popolazione sa ciò che deve fare d’immediato.
Nessun paese al mondo possiede più centri di ricerca, laboratori e medicine, o la capacità di produrli o di acquistarli, per combattere questa e qualunque altra malattia che gli Stati Uniti ci inviassero.
Davanti a rischi reali o immaginabili, presenti o futuri, non c’è altra alternativa che quella di educare la popolazione per affrontarli. Questo abbiamo fatto noi cubani.
Devono essere analizzate le cause che originarono il panico. Certamente non si potrebbe affermare che gli Stati Uniti siano esenti da rischi di azioni terroristiche. Ma non credo che nelle attuali circostanze di allarme generalizzato e delle misure prese nessun gruppo interno od esterno possa organizzare un’azione coordinata, organizzata in tutti i dettagli per lungo tempo, sincronizzata ed eseguita con precisione come quella realizzata l’11 settembre. A mio giudizio il rischio può provenire da azioni individuali, o da poche persone da dentro o dall’estero che possano causare danni di maggior o minor grandezza. Nessuno dev’essere sottovalutato. Tuttavia, più importante delle misure preventive di fronte a tali rischi, è disarmare psicologicamente i potenziali esecutori: una gamma che va da coloro che volevano realizzarlo per estremismo politico, spirito di vendetta u odio, fino ad un numero di individui frustrati, squilibrati o dementi che si sentano attratti dalla spettacolarità o dal desiderio di essere attori di fatti sognati, nelle cui mani ci sarebbe il potere di far impazzire il popolo degli Stati Uniti, per il danno che sta cagionando l’invio di lettere con o senza antrace. Si faccia tutto il possibile perché cessi il panico, le stravaganze ed il caos, e il pericolo diminuirà.
Anche a Cuba arrivano e circolano lettere e schede con polveri e cose strane. Centosedici sono state intercettate tra il 15 ed il 31 ottobre: 72 provenienti dall’estero; 36 dagli Stati Uniti, 8 dalla Gran Bretagna, 3 dal Canada, 3 dalla Repubblica Ceca, 2 dalla Spagna, 2 dall’Olanda, 1 dalla Danimarca, 1 dal Messico, 1 dall’Australia, 1 dal Brasile, 1 dalla Germania, 1 dal Cile ed 1 dagli Emirati Arabi. Venticinque di queste dirette a me. Ringrazio i mittenti per la loro amabilità. I nostri specialisti in laboratorio si stanno trasformando in veri esperti. Trentuno di queste lettere si originarono e circolarono dentro il paese, alcune al solo scopo di fare un pesante scherzo; 5 erano inviate da Cuba all’estero: due agli Stati Uniti, una per il Pakistan, una per l’Italia ed una per il Costa Rica; 8 senza determinare la provenienza. Delle 116 lettere esaminate, a eccezione di 24 che erano in processo di analisi, in nessuna si determinò la presenza di agenti biologici. Non un solo lavoratore delle poste, di Palazzo o dei laboratori è stato contaminato. Non ci furono notizie sensazionali, scandali, allarme né panico alcuno. Nessuno acquistò medicine né maschere antigas. Vi racconto l’episodio unicamente per illustrare ciò che dissi sull’incomprensibile di ciò che accadde con l’antrace negli Stati Uniti. Anche se un battere venisse introdotto, non ci sarebbe panico; tutti saprebbero già che cosa fare. Quello che con tutta sicurezza sarebbe molto difficile è che da Cuba possa uscire una lettera con un virus o batteri patogeni per un altro paese. Ci fa piacere sapere che le due lettere dirette agli Stati Uniti non sono potute arrivare, nemmeno le altre tre ad altri paesi. Così sarà la nostra cooperazione in ogni senso con tutti i popoli del mondo. Sia i nostri medici e altri specialisti, che i nostri tecnici, i nostri centri di ricerche e la nostra modesta esperienza saranno al servizio della lotta contro il terrorismo biologico e altre forme di terrore.
Si sta dimostrando che agli Stati Uniti i loro amici li temono però non li stimano, Cuba non teme per niente l’immenso potere di questo paese, però è capace di stimare il suo popolo.
Grazie mille.