Discorso pronunciato dal
Presidente della Repubblica di Cuba Fidel Castro Ruz, in occasione dell’atto
commemorativo del 30º anniversario della Missione Militare cubana in Angola e
del 49º anniversario dello sbarco del Granma, Giorno delle Forze Armate Rivoluzionarie,
2 dicembre 2005.
Distinti invitati;
Combattenti internazionalisti;
Compagne e compagni,
Oggi si compie il 49º anniversario dello sbarco dello
yacht Granma sulle coste della patria e comincia il 50º anno di vita
dell’Esercito Ribelle e delle Forze Armate Rivoluzionarie.
Com’è noto, dopo lo sbarco, e nonostante i primi
rovesci, la lotta si estese rapidamente ad ogni angolo delle nostre campagne e
città. Non ci fu un attimo di tregua fino al conseguimento dell’impressionante
trionfo popolare del Primo Gennaio 1959, nella lotta mortale contro gli
oppressori che torturarono ed assassinarono decina di migliaia di cubani,
saccheggiando fino all’ultima riserva monetaria del paese.
Tuttavia, la grandiosa vittoria fu ben lungi dal
significare la fine dei combattimenti armati.
Immediatamente, la perfidia imperialista, esacerbata
da qualsiasi misura che favorisse la popolazione e che consolidasse
l’indipendenza nazionale, ci costrinse a rimanere con gli zaini e gli stivali;
molti compatrioti dovettero continuare a sacrificare la vita in difesa della
Rivoluzione, sia a Cuba che in altri luoghi, nell’adempimento dei sacri doveri.
Esattamente 19 anni dopo lo sbarco del Granma, in
novembre del 1975, un piccolo gruppo di cubani ingaggiava in Angola i primi combattimenti
di una battaglia che si sarebbe prolungata per molti anni.
La storia del furto e del saccheggio imperialista e
neocoloniale dell’Europa in Africa, con il pieno appoggio degli Stati Uniti e
della NATO, così come l’eroica solidarietà di Cuba con i popoli fratelli, non
sono state sufficientemente divulgate, almeno come meritata riconoscenza alle
centinaia di migliaia di uomini e donne che scrissero quella gloriosa pagina
che, come esempio per le presenti e future generazioni, non dovrebbe mai essere
dimenticata. Ciò non elimina necessità
di continuare a diffonderle.
Il tema è stato trattato anche in questi giorni dalla
televisione e dai giornali e nelle manifestazioni commemorative dei combattenti
internazionalisti, effettuate in tutte le province del paese.
Pertanto, a beneficio del tempo, in momenti d’arduo
lavoro rivoluzionario, mi limiterò a riflettere brevemente su alcuni momenti
essenziali di quella gloriosa pagina della nostra storia rivoluzionaria.
Già nel 1961, quando il popolo d’Algeria ingaggiava
una sorprendente lotta per la sua indipendenza, un’imbarcazione cubana
trasportò armi agli eroici patrioti algerini ed al suo ritorno caricò centinaia
di bambini orfani o feriti di guerra. Due anni più tardi, quando l’Algeria
raggiunse l’indipendenza, fu minacciata da un’aggressione esterna che strappava
al dissanguato paese importanti risorse naturali. Per la prima volta truppe cubane
attraversarono l’oceano e, senza chiedere permesso a nessuno, risposero al’appello
del popolo fratello.
Anche in quei giorni, quando l’imperialismo sottrasse
al paese la metà dei suoi medici, lasciandone solo 3000, diverse decine di
medici cubani furono inviati in Algeria per aiutare la sua popolazione.
S’iniziava così, 44 anni fa, la più straordinaria
collaborazione medica con i popoli del Terzo Mondo, che l’umanità abbia mai
conosciuto.
In queste circostanze cominciò, a partire dal 1965,
la nostra collaborazione con la lotta indipendentista in Angola e Guinea
Bissau, consistente essenzialmente nella preparazione di quadri, invio
d’istruttori e sostegno logistico.
Dopo la cosiddetta Rivoluzione dei Garofani in
Portogallo, cominciò la disintegrazione dell’impero coloniale di quel paese,
già indebolito dalla rovina economica e dal logorio della guerra.
Nel caso dell’Angola, la più estesa e ricca delle
colonie portoghesi, la situazione fu molto differente. Il governo degli Stati
Uniti escogitò un piano segreto per calpestare i legittimi interessi del popolo
angolano e insediare un governo fantoccio. Il punto chiave fu la sua alleanza
con il Sudafrica, condividendone la preparazione e l’equipaggiamento delle
organizzazioni create dal colonialismo portoghese, per frustrare l’indipendenza
dell’Angola e trasformarla in pratica in una proprietà privata del corrotto
Mobutu e del fascismo sudafricano, che non esitò ad usare le proprie truppe per
invaderla.
Dittatori, terroristi, ladri e razzisti confessi s’inserivano,
senza il minor pudore, nelle file del chiamato “mondo libero” e, qualche anno
più tardi, il presidente nordamericano Ronald Reagan li battezzò, con
particolare cinismo, come “combattenti
per la libertà”.
A metà ottobre del 1975, mentre l’esercito dello
Zaire e forze mercenarie rafforzate con armi pesanti e consiglieri militari
sudafricani, si apprestavano a lanciare nuove offensive nel nord dell’Angola, e
si trovavano già in prossimità di Luanda, dal sud proveniva una minaccia
maggiore. Colonne blindate sudafricane erano penetrate nel sud del paese e
avanzavano rapidamente all’interno, con l’obbiettivo di occupare Luanda con le
forze congiunte dei razzisti sudafricani e le truppe mercenarie di Mubuto,
prima della proclamazione dell’indipendenza, l’11 novembre.
In quel momento si trovavano in Angola solo 480
istruttori militari, giunti nel paese settimane prima, rispondendo alla
richiesta del Presidente del MPLA Agostinho Neto, insigne e prestigioso leader
che organizzò e diresse la lotta del suo popolo per molti anni e contava con
l’appoggio di tutti i popoli africani ed il riconoscimento del mondo intero.
Chiese semplicemente cooperazione per addestrare i battaglioni che avrebbero
formato l’esercito del nuovo Stato indipendente. Gli istruttori avevano soltanto
armi leggere.
Un piccolo gruppo di loro, nei primi giorni di
novembre, insieme alle loro inesperte reclute del Centro di Addestramento Rivoluzionario
di Benguela, affrontò con valore l’esercito razzista. Nell’attacco a sorpresa e
nello sproporzionato scontro dei sudafricani contro i giovani angolani, decine
dei quali morirono, persero la vita otto istruttori cubani e sette risultarono
feriti.
I sudafricani persero sei carri blindati ed altri
mezzi. Non rivelarono mai la cifra delle gravi perdite subite dal loro
esercito.
Per la prima volta, in questo isolato punto della
geografia africana, il sangue cubano e angolano si mescolarono per la libertà
di quella terra sofferente.
Proprio in questo momento, Cuba, in accordo con il
presidente Neto, decise l’invio di truppe speciali del Ministero degli Interni
e d’unità regolari delle FAR in assetto da combattimento, trasferite per via
aerea e marittima ad affrontare l’aggressione dell’apartheid.
Accettammo la sfida senza esitare. I nostri
istruttori non sarebbero stati abbandonati alla loro sorte, nemmeno i generosi
combattenti angolani e molto meno l’indipendenza della loro patria, dopo più di
20 anni d’eroica lotta. A dieci mila chilometri di distanza, truppe cubane
eredi del glorioso Esercito Ribelle entravano in combattimento contro gli
eserciti del Sudafrica, la maggiore e più ricca potenza di quel continente, e
dello Zaire, il più ricco e ben armato fantoccio dell’Europa e degli Stati
Uniti.
Iniziava la cosiddetta Operazione Carlota, nome in
chiave della più giusta, prolungata, massiccia e riuscita campagna militare
internazionalista del nostro paese.
L’impero non poté conseguire il suo proposito di
smembrare l’Angola ed annullare la sua indipendenza. Lo impedì l’eroica e lunga
lotta dei popoli d’Angola e di Cuba.
Dai documenti ufficiali resi pubblici negli ultimi
anni, oggi sappiamo molto più di allora su come pensavano ed agivano le
autorità di Washington.
In nessun momento il Presidente degli Stati Uniti, né
il suo potente segretario di Stato, Henry Kissinger, né i servizi segreti di
questo paese, si erano immaginati, nemmeno come possibilità, la partecipazione
di Cuba. Mai, un paese del Terzo Mondo era intervenuto in aiuto di un altro
popolo geograficamente lontano in un conflitto militare.
Alla fine di novembre, l’aggressione nemica era stata
arrestata al nord ed al sud. Intere unità corazzate, numerosa artiglieria
terrestre e antiarea, brigate di fanteria blindata, trasportate da navi della
nostra Marina Mercantile, si concentravano in Angola, dove 36.000 soldati
cubani iniziarono una fulminante offensiva. Attaccando dal sud il principale
nemico, fecero retrocedere l’esercito razzista sudafricano più di 1000
chilometri dal suo punto di partenza, la frontiera tra l’Angola e
A dire la verità, Cuba pretendeva dal Sudafrica un alto
prezzo per la sua avventura: l’applicazione della Risoluzione 435 delle Nazioni
Unite e l’indipendenza della Namibia.
Il governo sovietico, dal canto suo, premeva con
forza su di noi affinché ritirassimo al più presto le nostre truppe,
preoccupato per le possibili reazioni yankee.
Dopo serie obiezioni da parte nostra, non ci rimase
altra alternativa che accettare, anche se solo in parte, la richiesta
sovietica. Sebbene non fossero stati consultati riguardo alla decisione cubana
di inviare truppe alla Repubblica Popolare d’Angola, i sovietici avevano in
seguito deciso di fornire l’armamento per la creazione dell’esercito angolano
ed avevano risposto positivamente a determinate nostre richieste durante la
guerra. Dopo il trionfo non ci sarebbero
state prospettive possibili per l’Angola senza l’appoggio politico e logistico
dell’URSS.
Di fronte alla delicata situazione creatasi in aprile
del 1976, il compagno Raúl, Ministro delle Forze Armate, si recò in Angola per
analizzare con il presidente Neto la necessità inevitabile di procedere al
progressivo e graduale ritiro delle truppe cubane, che contavano 36.000
effettivi, in un periodo di tre anni, tempo che ambedue le parti, Cuba ed
Angola, consideravano sufficiente per formare un forte esercito angolano.
Nel frattempo, avremmo mantenuto consistenti unità militari
sulle alture dell’altipiano centrale, a circa 250 chilometri dalla frontiera
con
Neto comprese le nostre ragioni e acconsentì al
programma di ritiro delle forze cubane.
Meno di un anno dopo, quando in marzo del 1977 potei
finalmente recarmi in visita in Angola e congratularmi personalmente con i
combattenti cubani ed angolani per la vittoria, erano già ritornati a Cuba
circa 12.000 internazionalisti, vale a dire, un terzo delle nostre forze. Il piano di ritiro si stava compiendo fino a
questo momento secondo quanto previsto. Ma gli Stati Uniti ed il Sudafrica non erano
soddisfatti ed i governi di Pretoria e di Washington, quest’ultimo in segreto,
stavano complottando fra loro. Negli
anni ‘80 divenne pubblico il complotto per il “Compromesso Costruttivo” e il
“Linkage” di Reagan. L’ostinazione di ambedue le potenze, così come le dolorose
e drammatiche conseguenze, resero necessario il nostro appoggio diretto al
popolo angolano per più di 15 anni, nonostante quanto concordato nel primo
piano di ritiro.
Molto pochi credettero che avremmo resistito tanti
anni e con fermezza agli attacchi degli Stati Uniti e del Sudafrica.
Nel suddetto decennio crebbe la lotta dei popoli di
Namibia, Zimbabwe e Sudafrica contro il colonialismo e l’apartheid. L’Angola si
trasformò in un solido baluardo di questi popoli, ai quali Cuba offrì tutto il
suo appoggio. Il governo di Pretoria agì sempre con perfidia.
Kassinga, Boma, Novo Katengue e Sumbe sono gli
scenari dei crimini dell’apartheid contro i popoli di Namibia, Zimbabwe, Africa
del Sud e Angola nonché palesi esempi della nostra solidarietà combattente di
fronte al comune nemico.
L’attacco alla città di Sumbe è particolarmente
eloquente circa i loro criminali intenti. Lì non c’erano truppe cubane, né
angolane, solo medici, professori, operai ed altri collaboratori civili che il
nemico pretendeva sequestrare, ma questi uomini e donne resistettero con i loro
fucili, insieme ai loro fratelli angolani, fino all’arrivo dei rinforzi che
misero in fuga gli aggressori. Sette cubani caddero nell’impari scontro.
E’ solo un esempio dei molti che si potrebbero
menzionare del sacrificio e del valore dei nostri internazionalisti, militari e
civili, pronti ad offrire il proprio sangue ed il proprio sudore ogni volta che
è stato necessario, insieme ai fratelli angolani, namibiani, zimbabwensi, sudafricani;
in pratica di tutto il continente, perché si potrebbe aggiungere algerini,
congolesi, guineani, capoverdiani ed etiopi.
Fu una straordinaria prodezza del nostro popolo,
specialmente della nostra gioventù, delle decine di migliaia di combattenti del
Servizio Militare Attivo e della Riserva, che volontariamente adempirono il
loro dovere internazionalista, insieme agli ufficiali e gli altri membri
permanenti delle FAR.
Bisogna aggiungere i milioni di uomini e donne che
assicurarono da Cuba il successo di ogni missione, sostituirono con un numero
maggiore di ore di lavoro coloro che partivano e si sforzarono affinché nulla
mancasse alla famiglia del combattente o del collaboratore civile.
Esempio sommo sono le madri, i figli, fratelli ed i
coniugi dei nostri fratelli caduti. Senza eccezione sono stati all’altezza del
supremo sacrificio dell’essere amato. Seppero trasformare il loro profondo
dolore, che sconvolse ogni angolo di Cuba durante l’Operazione Tributo, in un
amore immenso verso la patria, in maggiore fedeltà e rispetto alla causa per la
quale la persona amata sacrificò coscientemente la vita.
Cosa non farebbe un popolo capace di questa prodezza,
se arrivasse il momento di difendere la propria terra!
Non racconterò oggi –non è il momento adeguato– le
differenze nelle concezioni strategica e tattica tra cubani e sovietici.
Noi formammo decine di migliaia di soldati angolani e
appoggiammo le truppe di questo paese nella preparazione e nei combattimenti. I
sovietici consigliavano gli alti comandi militari e fornivano generosamente
alle Forze Armate angolane le armi necessarie. Azioni originate dai consigli
provenienti dall’alto ci occasionarono non pochi mal di testa, ciononostante,
prevalse tra militari cubani e sovietici sempre un gran rispetto e profondi
sentimenti di solidarietà e comprensione.
Com’è noto, alla fine del 1987 si produsse l’ultima grande
invasione sudafricana in suolo angolano, in circostanze che mettevano in
pericolo la stabilità di questa nazione.
Nella data citata, Sudafrica e Stati Uniti sferrarono
l’ultimo e più minaccioso colpo contro un forte contingente di truppe angolane
che avanzavano attraverso un terreno sabbioso verso Jamba, nel limite
sud-orientale della frontiera angolana, dove si supponeva si trovasse il posto
di comando di Savimbi; ci eravamo sempre opposti a offensive di questo genere
se non si impediva a Sudafrica d’intervenire all’ultimo momento con la sua
aviazione, la sua potente artiglieria e la sua forza blindata.
Ancora una volta si ripeté la medesima situazione. Il
nemico, fortemente motivato, avanzò successivamente verso Cuito Cuanavale,
all’interno di Angola, vecchia base aera della NATO, e si preparava ad
assestare un colpo mortale contro l’Angola.
Il governo angolano, di fronte al disastro provocato,
senza dubbio il peggiore di tutti, in un’operazione militare nella quale, come
in altre occasioni, non avevamo nessuna responsabilità, inviò delle disperate
richieste di soccorso al Contingente Militare Cubano.
Con uno sforzo titanico, nonostante l’incombente e
serio pericolo di un’aggressione armata contro di noi, l’alta direzione
politica e militare di Cuba decise di riunire le forze necessarie e assestare
un colpo definitivo alle forze sudafricane. La nostra patria compì nuovamente
la prodezza del 1975. Un fiume d’unità e mezzi da combattimento attraversò
rapidamente l’Atlantico e sbarcò sulla costa meridionale angolana per attaccare
da sud-ovest in direzione della Namibia, mentre, 800 chilometri ad est, unità
specializzate avanzarono verso Cuito Cuanavale e lì, congiuntamente alle forze
angolane in ripiegamento, preparano un’imboscata mortale alle potenti forze
sudafricane che avanzavano verso quella grande base aerea.
Questa volta erano stati riuniti in Angola 55.000
soldati cubani.
In questo modo, mentre a Cuito Cuanavale le truppe
sudafricane erano stremate, a sud-ovest 40.000 soldati cubani e 30.000
angolani, appoggiati da circa 600 carri armati, centinaia di pezzi
d’artiglieria, 1.000 postazioni antiaeree e le audaci unità dei MIG-23, che
s‘impadronirono del dominio aereo, avanzavano verso la frontiera della Namibia,
pronti a spazzare letteralmente le forze sudafricane accampate in quel punto
fondamentale.
Sono molte le cose che si potrebbero raccontare dei
combattimenti e della rilevanza di quello scontro.
Sono qui presenti il compagno Polo Cintras Frías, all’epoca
audace capo del fronte sud in Angola, e numerosi compagni che parteciparono a
quei gloriosi e indimenticabili giorni.
Le schiaccianti vittorie a Cuito Cuanavale e
soprattutto l’avanzata fulminante del potente contingente cubano nel sud-ovest
angolano, misero fine all’aggressione militare straniera.
Il nemico dovette ingoiarsi la sua abituale
prepotenza e sedersi ai tavoli di negoziazione. I negoziati culminarono con gli
Accordi di Pace per l’Africa sud-occidentale, firmati in dicembre del 1988 da
Sudafrica, Angola e Cuba nella sede dell’ONU.
Fu definito come quadripartito, poiché da un lato del
tavolo partecipavamo noi cubani insieme agli angolani e dalla parte opposta i
sudafricani; gli Stati Uniti occupavano il terzo lato del tavolo in funzione di
mediatori. In realtà, gli Stati Uniti erano giudice e parte, erano un alleato
del regime dell’apartheid e gli sarebbe toccato sedersi insieme ai sudafricani.
Il capo dei negoziatori nordamericani, il
sottosegretario di Stato Chester Crocker, per anni si oppose alla
partecipazione di Cuba. Di fronte alla
gravità della situazione militare degli aggressori sudafricani, non gli rimase altro
che accettare la nostra presenza. Tuttavia, è stato realista in un suo libro
sul tema quando, riferendosi all’entrata nella sala di riunioni dei
rappresentanti di Cuba, scrisse: “I negoziati erano sul punto di cambiare per
sempre.”
Il portavoce dell’amministrazione Reagan sapeva bene
che con Cuba al tavolo dei negoziati non sarebbe proseguita la losca manovra,
il ricatto, l’intimidazione e la menzogna.
Questa volta non successe come a Parigi, nel 1898,
quando statunitensi e spagnoli negoziarono la pace senza che fosse presente la
rappresentanza di Cuba, dell’Esercito di Liberazione ed il Governo di Cuba sulle
armi.
Questa volta sarebbero stati presenti le FAR e la
rappresentanza legittima del Governo Rivoluzionario di Cuba, insieme al governo
d’Angola.
La missione internazionalista era completamente
compiuta.
I nostri combattenti iniziarono il loro ritorno a
fronte alta, portando con sé solamente l’amicizia del popolo angolano, le armi
con le quali combatterono con modestia e valore a migliaia di chilometri dalla
loro patria, la soddisfazione di avere compiuto il proprio dovere ed le
gloriose spoglie dei fratelli caduti.
Il loro apporto risultò decisivo per consolidare
l’indipendenza dell’Angola ed ottenere quella della Namibia. Fu inoltre un
contributo significativo alla liberazione dello Zimbabwe ed alla scomparsa
dell’odioso regime dell’apartheid in Sudafrica.
Poche volte nella storia, una guerra, l’atto umano
più terribile, straziante e difficile, è stato accompagnato da un tale grado d’umanesimo
e modestia da parte dei vincitori, nonostante la quasi assoluta mancanza di
questi valori nelle file degli sconfitti. La solidità dei principi e la purezza
dei propositi, spiegano la più assoluta trasparenza in ogni azione realizzata
dai nostri combattenti internazionalisti.
Certamente, risultò decisiva la tradizione seminata dai
nostri mambises durante le gesta
indipendentiste, consolidate dai ribelli e dai combattenti durante
Quella straordinaria epopea non è mai stata narrata
completamente. Si compie il 30º Anniversario e l’imperialismo yankee realizza
uno sforzo straordinario affinché il nome di Cuba non appaia nemmeno negli
eventi commemorativi. Come colmo, pretende riscrivere la storia: parrebbe che
Cuba non ebbe nulla a che vedere con l’indipendenza dell’Angola, della Namibia
e con la sconfitta delle forze dell’esercito dell’apartheid, fino allora
invincibili; Cuba nemmeno esiste, fu tutto casuale e risultato dell’immaginazione
popolare. Il governo degli Stati Uniti
non ha niente a che vedere in assoluto con le centinaia di migliaia di angolani
assassinati, le migliaia di villaggi rasi al suolo, le milioni di mine
disseminate nel suolo angolano che ancora provocano continuamente la morte di
molti bambini, donne e civili di questo paese.
Ciò costituisce un insulto ai popoli d’Angola,
Namibia e Sudafrica che tanto lottarono, ed una sfrontata ingiustizia contro
Cuba, l’unico paese non africano che combatté e sparse il suo sangue per
l’Africa e contro l’obbrobrioso regime dell’apartheid.
Oggi l’imperialismo yankee estrae da Angola miliardi
di dollari, sperpera le sue risorse
naturali ed esaurisce le sue riserve petrolifere non rinnovabili. Cuba ha
compiuto ciò che disse l’insigne leader anticolonialista Amílcar Cabral: “I
combattenti cubani sono disposti a sacrificare le proprie vite per la
liberazione dei nostri paesi ed in cambio di questo aiuto alla nostra libertà
ed al progresso della nostra popolazione, l’unico di nostro che si porteranno
via saranno i combattenti caduti durante la lotta per la libertà.”
Le ridicole pretese yankee d’ignorare l’autorevole
partecipazione di Cuba indignano i popoli africani. Ciò si deve, in parte, al
fatto che non è mai stata scritta la storia di quanto successo.
Studiosi di prestigio s’impegneranno a cercare
informazioni. Cuba, da parte sua, che non ha mai voluto scrivere a riguardo, e
si trattiene dal parlare di ciò che fece con tanto disinteresse e spirito solidale,
è disposta a prestare la propria modesta cooperazione, aprendo progressivamente
i suoi archivi e documenti a scrittori seri e di prestigio che vogliano narrare
la vera e inconfutabile storia di quei fatti (Applausi).
L’epopea d’Angola, la lotta per l’indipendenza della
Namibia e contro l’apartheid fascista,
rafforzò molto il nostro popolo. Gli innumerevoli atti d’eroismo, abnegazione e
umanesimo di cui furono protagonisti gli oltre 300.000 combattenti
internazionalisti ed i circa 50.000 collaboratori civili cubani che in maniera
assolutamente volontaria parteciparono alla missione in Angola, sono un tesoro
d’inestimabile valore.
Questa magnifica tradizione è oggi degnamente
proseguita dalle decine di migliaia di medici ed altri professionisti e lavoratori
della sanità, maestri, allenatori sportivi e specialisti nei diversi campi, che
compiono il proprio solidale dovere, molte volte in condizioni tanto difficili quanto
quelle del combattimento, come il caso del già glorioso Contingente “Henry
Reeve”.
Il nome dell’operazione militare in Angola è, a sua
volta, simbolo ed omaggio alle migliaia di schiavi che perirono in
combattimento o furono giustiziati durante le prime insurrezioni.
Lì si forgiarono donne dello stampo di Carlota, una
negra lucumì della azienda agricola
Triunvirato, a Matanzas, che nel 1843 capeggiò una delle numerose rivolte
contro il terribile stigma della schiavitù e sacrificò la sua vita alla causa.
Mambises, ribelli, combattenti clandestini,
combattenti della Baia dei Porci, della Crisi dei Missili e della lotta contro
i banditi, internazionalisti, miliziani, membri delle FAR e del Ministero degli
Interni, infine, il popolo combattente, sono frutto del vigoroso albero che
crebbe in questa terra da radici africane e spagnole.
In Spagna andarono centinaia di cubani, quando negli
anni trenta
Quattro decenni dopo, i combattenti cubani giunsero
in Africa, con la forza moltiplicata della Rivoluzione, per difendere un popolo
aggredito dagli stessi nemici. Lì
caddero 2.077 compatrioti.
Senza scuotersi la polvere del cammino –come fece
Martí di fronte alla statua di Bolívar– gli appartenenti all’ultimo contingente
internazionalista tornato in patria, insieme ai principali dirigenti della
Rivoluzione furono a rendere omaggio, davanti alla tomba del Titano (Antonio Maceo n.d.t.), ai caduti in
tutte le battaglie combattute dal nostro popolo.
Ancora una volta, confermiamo l’eterna promessa fatta
ai nostri gloriosi morti di portare avanti
Le attuali e le future generazioni cubane continueranno
ad avanzare, superando le più grandi difficoltà, lottando senza tregua affinché
Affronteremo sempre con maggior energia i nostri
difetti ed errori. Continueremo a lottare. Continueremo a resistere.
Continueremo a sconfiggere ogni aggressione
imperialista, le menzogne della sua propaganda e le astute manovre politiche e
diplomatiche.
Continueremo a resistere alle conseguenze del blocco
che un giorno sarà sconfitto dalla dignità dei cubani, dalla solidarietà dei
popoli e dalla quasi totale opposizione dei governi di tutto il mondo –come ha
dimostrato ancora una volta la votazione all’ONU– così come dal crescente
rifiuto del popolo statunitense a questa assurda politica che viola in modo flagrante
i suoi diritti costituzionali.
Così come gli imperialisti e le loro pedine soffrirono
in Angola le conseguenze di una Baia dei Porci moltiplicata, colui che arrivi a
questa terra a suon di bombe e pallottole affronterà migliaia di Quifangondo,
Cabinda, Ebo, Morros de Medunda, Cangamba, Ruacanà, Tchipa, Calueque e Cuito
Cuanavale (Applausi).
I nostri internazionalisti, così come gli altri
combattenti cubani, cioè, tutto il popolo cubano, sono coscienti che in caso di
un’aggressione militare, propineremo all’invasore la sconfitta. E voi, veterani della storia patria, sarete
senza dubbio i protagonisti decisivi della vittoria!
Viva l’internazionalismo! (Esclamazioni di: “Viva!”)
Viva
Viva il socialismo! (Esclamazioni di: “Viva!”)
Fino alla vittoria, sempre!
(Ovazione)