GLI EROI DELLA NOSTRA EPOCA
C’è molto da dire su questi tempi difficili per
l’umanità. Tuttavia, oggi è un giorno di
speciale interesse per noi, e forse anche per tante persone.
Durante la nostra breve storia rivoluzionaria, sin
dall’infido colpo di stato del 10 marzo 1952 promosso dall’impero contro il
nostro piccolo paese, non poche volte ci siamo trovati nella necessità di
prendere importanti decisioni.
Quando non c’era più nessuna alternativa, altri
giovani, di qualsiasi altra nazione nella nostra complessa situazione, facevano
o si proponevano di fare ciò che noi facemmo, sebbene nella vicenda particolare
di Cuba il caso, come tante volte nella storia, ebbe un ruolo decisivo.
A partire dal dramma allora creato dagli Stati Uniti
nel nostro paese, senz’altro obiettivo che frenare il rischio di limitati
progressi sociali che potessero incoraggiare futuri cambiamenti radicali nella
proprietà yankee in cui si era trasformata Cuba, si procreò la nostra
Rivoluzione Socialista.
La schiacciante vittoria di 1959, posiamo affermarlo
senz’ombra di sciovinismo, divenne esempio di ciò che una piccola nazione,
lottando per sé stessa, può fare anche per gli altri.
I paesi latinoamericani, con un minimo di onorevoli
eccezioni, si lanciarono dietro le briciole offerte dagli Stati Uniti e, ad
esempio, la quota zuccheriera di Cuba, che durante quasi un secolo e mezzo
rifornì quel paese negli anni critici, fu ripartita tra produttori ansiosi di
mercati al mondo.
L’illustre generale statunitense che presiedeva
allora il paese, Dwight D. Eisenhower, aveva guidato le truppe alleate nella
guerra in cui liberarono, nonostante i potenti mezzi di cui disponevano, appena
una piccola parte dell’Europa occupata dai nazisti. Il sostituto del presidente Roosevelt, Harry
S. Truman, risultò essere il tradizionale conservatore che negli Stati Uniti
assume di solito tali responsabilità politiche negli anni difficili.
L’unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, che
fino allo scorso XX secolo fu la più grandiosa nazione della storia nella lotta
contro lo spietato sfruttamento degli esseri umani, fu smembrata e sostituita
da una Federazione che ridusse la superficie di quello Stato multinazionale in
non meno di cinque milioni cinquecentomila chilometri quadrati.
Tuttavia, qualcosa non poté essere disciolto:
l’eroico spirito del popolo russo che, unito ai suoi fratelli del resto
dell’URSS, è stato capace di preservare una forza tanto potente che insieme a
quella della Repubblica Popolare Cinese e di paesi quali Brasile, India e
Sudafrica, integrano un gruppo con il potere necessario a frenare il tentativo
di colonizzare ancora un volta il pianeta.
Due esempi illustrativi della suddetta realtà li
abbiamo vissuti nella Repubblica Popolare di Angola. Cuba, come tanti altri paesi socialisti e
movimenti di liberazione, collaborò con essa e con altri paesi che lottavano
contro la dominazione portoghese in Africa, la quale si esercitava in modo
amministrativo diretto con il supporto degli alleati del Portogallo.
La solidarietà con Angola era uno dei punti essenziali
del Movimento di Paesi Non Allineati e del Campo Socialista. L’indipendenza del suddetto paese divenne
inevitabile ed era accettata dalla comunità mondiale.
Lo Stato razzista di Sudafrica e il corrotto governo
dell’ex Congo Belga, con l’appoggio di alleati europei, si preparavano in modo
accurato per la conquista e ripartizione dell’Angola. Cuba, che da anni cooperava con la lotta del
popolo angolano, ricevette la richiesta di Agostinho Neto per l’addestramento delle
forze armate che, ubicate in Luanda, dovevano essere pronte per il suo
insediamento ufficiale previsto per l’11 novembre 1975. I sovietici, fedeli ai loro impegni, avevano
fornito equipaggiamento militare e aspettavano soltanto il giorno dell’indipendenza
per inviare gli istruttori militari.
Cuba, da parte sua, concordò l’invio degli istruttori richiesti da Neto.
Il regime razzista di Sudafrica, condannato e
disprezzato dall’opinione pubblica mondiale, decise di anticipare i propri
piani e inviò forze motorizzate in veicoli blindati dotati di potente
artiglieria che, dopo aver percorso centinaia di chilometri dalla propria
frontiera, attaccarono il primo accampamento d’istruzione, dove vari istruttori
cubani morirono in eroica resistenza. Dopo giorni di combattimento, i
coraggiosi istruttori cubani insieme agli angolani riuscirono a fermare
l’avanzamento dei sudafricani verso Luanda, la capitale dell’Angola, dov’era
stato inviato un battaglione delle Truppe Speciali del Ministero degli Interni,
trasportato dall’Avana nei vecchi aerei Britannia della nostra linea aerea.
Così cominciò quell’epica lotta in quel paese
dell’Africa nera, tiranneggiati dai razzisti bianchi, in cui battaglioni di
fanteria motorizzata e brigate di carri armati, artiglieria blindata e mezzi
idonei di lotta, respinsero le forze razziste di Sudafrica e le costrinsero a
retrocedere fino alla stessa frontiera da dove erano partire.
Non fu unicamente l’anno 1975 la tappa più pericolosa
di quella contesa. Questa ebbe luogo circa dodici anni dopo, a sud dell’Angola.
In questo modo, ciò che sembrava la fine
dell’avventura razzista a sud dell’Angola non era che l’inizio, ma almeno
avevano potuto comprendere che le forze rivoluzionarie di cubani bianchi,
mulatti e negri, insieme ai soldati angolani, erano in grado di fare inghiottire la polvere della sconfitta agli
ipoteticamente invincibili razzisti. Forse allora si fidarono troppo della loro
tecnologia, delle loro ricchezze e del supporto dell’impero dominante.
Anche se non fu mai la nostra intenzione,
l’atteggiamento sovrano del nostro paese provocò alcune contraddizioni con la
stessa URSS, che tanto fece per noi nei giorni veramente difficili, quando
l’eliminazione del rifornimento di combustibile dagli Stati Uniti a Cuba ci
avrebbe portato a un lungo e costoso conflitto con la poderosa potenza del
Nord. Scomparso o no questo pericolo, il dilemma era decidersi ad essere liberi
o rassegnarsi ad essere schiavi del potente impero vicino.
In situazione tanto complessa quanto l’accesso
dell’Angola all’indipendenza, in lotta frontale contro il neocolonialismo, era
impossibile che non sorgessero differenze in alcuni degli aspetti da cui
potevano derivarsi gravi conseguenze riguardanti gli obiettivi fissati, che nel
caso di Cuba, quale parte in quella lotta, aveva il diritto e il dovere di
portarla al successo.
Ogni volta che, a nostro avviso, qualsiasi aspetto
della nostra politica internazionale poteva contrastare la politica strategica
dell’URSS, facevamo il possibile per evitarlo. Gli obiettivi comuni domandavano
da ognuno il rispetto reciproco ai meriti e all’esperienza. La modestia non è in conflitto con l’analisi
seria della complessità e importanza di ogni situazione, sebbene nella nostra
politica fummo sempre molto fermi rispetto a tutto quanto si riferiva alla
solidarietà con l’Unione Sovietica.
In momenti decisivi della lotta in Angola contro
l’imperialismo e il razzismo si produsse una di quelle contradizioni derivatasi
dalla nostra partecipazione diretta a quella contesa e dal fatto che le nostre
forze non soltanto lottavano ma istruivano anche ogni anno migliaia di
combattenti angolani, che appoggiavamo nella loro lotta contro le forze pro
yankee e pro razziste di Sudafrica. Un
militare sovietico era l’assessore del governo e pianificava i movimenti delle
forze angolane. Discrepavamo, tuttavia, su un punto molto importante: la
reiterata frequenza con cui si difendeva il criterio erroneo di spiegare, a
quasi millecinquecento chilometri dalla capitale Luanda, le truppe angolane
meglio allenate, seguendo la concezione caratteristica di un altro tipo di
guerra, per niente simile a quella di carattere sovversivo e di guerriglia che
portavano avanti i controrivoluzionari angolani. In realtà non esisteva una capitale
dell’UNITA, né Savimbi aveva un punto di resistenza, si trattava di un’esca del
Sudafrica razzista che serviva solo ad attirare verso quella zona le più brave
e meglio allestite truppe angolane per colpirle a volontà.
Ci opponevano, quindi, a questo concetto, che fu
applicato più di una volta, finché l’ultima ci venne chiesto di colpire il
nemico con le nostre forze, il che diede luogo alla battaglia di Cuito
Cuanavale. Dirò che quel prolungato scontro militare contro l’esercito
sudafricano avvenne subito dopo ultima offensiva contro l’ipotetica “capitale
di Savimbi”, in un lontano angolo della frontiera tra l’Angola, il Sudafrica e
Quando superavano i suddetti limiti, i coraggiosi
soldati della FAPLA erano fortemente colpiti dal nemico con i suoi aerei da
combattimento, la sua artiglieria pesante e le sue ben equipaggiate forze
terrestri, cagionando numerose perdite tra morti e feriti. Questa volta, tuttavia, nella persecuzione
delle malridotte brigate angolane, il nemico si dirigeva verso la base militare
della NATO.
Le Unità angolane
retrocedevano su un fronte di vari chilometri d’ampiezza con brecce di
chilometri di separazione tra esse. Data la gravità delle perdite e il pericolo
che poteva derivare dalle stesse, con sicurezza sarebbe giunta la richiesta
abituale di consulenza al Presidente dell’Angola, affinché chiedesse
l’appoggio cubano e così avvenne.
La risposta ferma stavolta
fu che la richiesta sarebbe stata accettata solo se tutte le forze e i mezzi da
combattimento angolani nel Fronte Sud si subordinavano al comando militare
cubano. Il risultato immediato fu che si accettava quella condizione.
Rapidamente si
mobilitarono le forze in funzione della battaglia di Cuito Cuanavale, dove gli
invasori sudafricani e le loro armi sofisticate si schiantarono contro le
unità blindate, l’artiglieria convenzionale e i MIG-23, pilotati dagli
audaci piloti della nostra aviazione.
L’artiglieria, i carri armati e altri mezzi angolani situati in quel
punto, che mancavano di personale, furono sistemati e rimessi in condizioni di
combattere dal personale cubano. I carri armati angolani che nella
ritirata non poterono superare l’ostacolo rappresentato dal profondo fiume
Queve, a Est della vecchia base della NATO, il cui ponte era stato
distrutto alcune settimane prima da un aereo sudafricano senza pilota carico di
esplosivi, furono interrati e circondati di mine anti-persona e
anti-carro. Le truppe sudafricane che avanzavano si scontrarono a poca
distanza con una barriera insuperabile contro la quale si frantumarono. In
questo modo, con un minimo di morti e feriti e vantaggiose condizioni, le forze
sudafricane furono decisamente sconfitte in quel territorio angolano.
Ma la lotta non era
conclusa. L’imperialismo, con la complicità di Israele, aveva trasformato il
Sudafrica in un paese nucleare. Il nostro esercito dovette affrontare, per
la seconda volta, il rischio di trasformarsi in un bersaglio di quest’arma, ma
su questo episodio, con tutti gli elementi di giudizio pertinenti, si sta
redigendo e forse si potrà scrivere nei prossimi mesi.
Quali fatti sono
avvenuti ieri notte, che hanno provocato questa analisi? Due fatti,
a mio giudizio, di speciale importanza:
La partenza della prima
Brigata Medica Cubana per l’Africa a lottare contro l’Ebola.
Il brutale assassinio
a Caracas, in Venezuela, del giovane deputato rivoluzionario Robert Serra.
I due fatti riflettono lo
spirito eroico e la capacità dei processi rivoluzionari che avvengono nella
Patria di José Martí e nella culla della libertà dell’America, il Venezuela
eroico di Simón Bolívar e Hugo Chávez.
Quante sorprendenti
lezioni racchiudono questi avvenimenti! Le parole bastano appena per esprimere
il valore morale di tali fatti, avvenuti quasi simultaneamente.
Non potrei mai credere che
il crimine contro il giovane deputato venezuelano sia opera del caso.
Sarebbe davvero incredibile, e aggiustato alla pratica dei peggiori organismi
yankee d’intelligence, che la vera casualità fosse che il ripugnante fatto non
fosse stato realizzato con intenzione, soprattutto quando si aggiusta
perfettamente a quanto previsto e annunciato dai nemici
della Rivoluzione Venezuelana.
Comunque, mi pare
assolutamente corretta la posizione delle autorità venezuelane di stabilire la
necessita d’investigare accuratamente il carattere del crimine. Il popolo,
tuttavia, ha espresso commosso la sua profonda convinzione sulla natura del
brutale fatto di sangue.
L’invio della prima
Brigata Medica nella Sierra Leone, paese segnalato come uno dei punti di
maggior presenza della crudele epidemia di Ebola, è un esempio del quale un
paese può essere orgoglioso, perché non è possibile in questo istante
raggiungere una posizione di maggior onore e gloria. Se nessuno ha mai avuto il benché minimo
dubbio che le centinaia di migliaia di combattenti che andarono in Angola e in
altri paesi dell’Africa o dell’America diedero all’umanità un esempio che non
si potrà cancellare mai dalla storia umana, tanto meno si può dubitare che
l’esercito dei camici bianchi occuperà un altissimo luogo d’onore in questa
storia.
Non saranno i fabbricanti
di armi letali coloro che otterranno questo meritato onore. Magari
l’esempio dei cubani che marciano in Africa radichi nella mente e nel
cuore di altri medici nel mondo, soprattutto di quelli che dispongono di più
risorse, che professino una o l’altra religione, o la più profonda convinzione
del dovere della solidarietà umana.
È duro il compito di
coloro che partono a combattere contro l’Ebola, per la sopravvivenza di
altri esseri umani, anche a rischio della propria vita.
Non per questo dobbiamo
smettere di fare l’impossibile per garantire a coloro che compiono questi
doveri il massimo della sicurezza nei compiti che svolgono e nelle misure da
prendere per proteggere loro e il nostro popolo da questa e da altre malattie
ed epidemie.
Il personale che parte
verso l’Africa sta proteggendo anche noi che restiamo qui, perché il peggio che
può capitare è che questa epidemia o altre peggiori si propaghino nel nostro
continente o nel seno di un popolo di qualsiasi paese al mondo, dove un
bambino, una madre o un essere umano possa morire.
Ci sono sufficiente medici
nel pianeta per far sì che nessuno debba morire per mancanza di
assistenza Questo è quanto volevo esprimere.
Onore e gloria per i
nostri valorosi combattenti per la salute e la vita!
Onore e gloria per il
giovane rivoluzionario venezuelano Robert Serra e alla sua compagna María
Herrera!
Queste idee le ho scritte
il due ottobre, quando ho saputo le due notizie, ma ho preferito aspettare
il giorno dopo affinché l’opinione internazionale si informasse bene e per
chiedere a Granma di pubblicarlo il sabato.
Fidel Castro Ruz
24 Ottobre 2014
Ore 20:47